Tra l’autunno e l’inverno, quando gli alberi sono maturi, si effettua il peeling, l’ebollizione e la spaccatura della fibra per ottenere dei fili sottili. I germogli che crescono dai tagli sul lato del tronco sono preziosi e possono richiedere fino a 3 anni prima che le fibre siano pronte per essere prelevate. Una volta estratto il filo hanno inizio le operazioni di tintura, tessitura e rifinitura. Tutti i passaggi dalla coltivazione alla tintura vengono eseguiti rigorosamente a mano, senza l’utilizzo di prodotti chimici.
Si tratta di un processo estremamente lungo, poiché per produrre un solo kimono sono necessarie le fibre di circa 200 banani! A causa delle migliaia di ore di lavoro manuali necessarie, vengono prodotti circa 250 rotoli di bashofu all’anno, e il prodotto finale è perciò molto costoso: da uno a diversi milioni di yen.
Toshiko Taira fu la ragione del revival dell’arte del Bashofu nel Giappone del dopoguerra. Durante la guerra viaggiò come membro del corpo di volontari fino a Kurashiki, dove visitò la filanda di Ohara. Qui ebbe l’opportunità di incontrare Kichinosuke Tonomura, profondamente coinvolto nel movimento delle arti popolari, e di imparare a tessere, esperienza che la incoraggiò a proteggere e alimentare la crescita dell’industria tessile di Okinawa. Sfortunatamente i campi di banano attiravano le zanzare e al suo ritorno erano stati abbattuti: ciò nonostante le donne di Kijoka hanno continuato a lavorare duramente per salvare la produzione di fibre di banana e preservare l’arte della creazione del bashofu. Nel 1974, la “Yoshika Bashofu Preservation Society” fu designata come Importante Proprietà Culturale Immateriale, mentre la signora Toshiko Taira ricevette il riconoscimento di Tesoro Nazionale Vivente.
La nobiltà, i sacerdoti e i samurai vestivano questi kimono soprattutto nell’era dello Shogunato, (dal giapponese shogun, “comandante dell’esercito”), caratterizzata da 41 dittature militari che si susseguirono dal 1192 al 1868. Il colore blu e nero era riservato alla nobiltà, il giallo e l’ocra/rosso alla casa regale del regno di Riyuku (l’antico nome di Okinawa quando era un regno indipendente), mentre al popolo era riservato un kimono a tinta unita o decorato con pattern. Le tipologie più comuni di bashofu sono i Bingata, i Kasuri e gli Hana-ori. Spesso caratterizzato da colori brillanti, il Bingata generalmente rappresenta soggetti naturali come fiori, foglie o alberi. Nell’era Ryukyu era così complesso da realizzare che solo le famiglie più abbienti potevano permetterselo, e i pattern erano tenuti sotto stretto controllo: alcuni erano riservati solo ai reali o alla nobiltà. Oggi invece tutti possono indossarlo, e spesso si trova anche sulle magliette vendute nei negozi locali. I Kasuri sono invece caratterizzati da una tessitura a trama, tecnica molto antica risalente al XII secolo, anche prima dell’ascesa del regno di Ryukyu: ancora oggi è possibile riconoscere la provenienza di un kimono bashofu kasuri osservando il tipo di intreccio dei fili. L’Hana-ori presenta intrecci complessi, spesso simili a dei fiori, una tecnica che proviene da Yomitan, nel centro di Okinawa, ed è generalmente utilizzata per oggetti più piccoli come tovagliette e fazzoletti, data l’incredibile intensità del processo di tintura e tessitura del filo. Mentre è raro trovare un vero kimono Hana-ori, è abbastanza comune vedere le minsaa, le cinture dei kimono di Okinawa, realizzate secondo questo stile.