Oggi la fermentazione del riso viene affidata a una muffa chiamata kojikin, mentre prima era iniziata con tecniche più arcaiche, come la masticazione. Prima di tutto il kojikin viene fatto moltiplicare su un letto di riso cotto al vapore, producendo così il komekoji (riso maltato), al quale vengono aggiunti altro riso cotto al vapore e acqua per formare lo shubo (la pasta madre). Riso cotto al vapore, riso maltato e acqua vengono aggiunti a più riprese, in un processo di fermentazione a tre stadi chiamato danjikomi.
Finito il processo, il sakè viene filtrato, pastorizzato a bassa temperatura, riposto e invecchiato. Il progresso tecnico ha continuato a evolversi fino al XVIII secolo, quando si giunse a uno stile molto simile a quello odierno. Fatte le premesse, vediamo insieme quali sono i fattori che rendono il sakè la bevanda nazionale del Giappone.

Regione che vai, sakè che trovi
Le diverse condizioni climatiche del Giappone influenzano i prodotti agricoli e marini e di conseguenza la cucina varia in sapore, condimenti e metodi di cottura da regione a regione, rispecchiando la diversità ambientale del Paese. Le oltre 100 aziende di tutto il Paese che producono sakè devono adattarlo alla cucina locale, con caratteristiche diverse a seconda della regione per adattarsi a stili di vita e di alimentazione locali. Anche le stagioni influenzano il sakè per tipologia e maniera di berlo: in autunno c’è lo hiyaoroshi, maturato nel corso dell’estate, mentre durante l’inverno si beve lo shiboritate e in estate il namazake freddo da frigorifero. Inoltre il Giappone celebra il cambio delle stagioni con una cerimonia detta sekku, in cui era consuetudine far galleggiare i fiori di stagione nel sakè, per poterli ammirare prima di berlo in modo da allontanare le influenze nocive e augurarsi una lunga vita. Si usavano fiori di pesco a marzo, iris a maggio, crisantemi a settembre.
Si sposa bene con la cucina giapponese
Gli ingredienti più usati nella cucina nipponica sono la salsa di soia, l’aceto di riso e il sakè dolce da cucina, fermentati facendo uso di riso maltato; inoltre il pesce, tanto amato dai giapponesi, è ricco di calcio e minerali, ai quali il sakè si accompagna bene. Tutti questi fattori rendono la bevanda ottima per la cucina giapponese.

È profondamente legato alle cerimonie tradizionali
Fin dall’antichità si ringraziavano gli dei per l’abbondante raccolto usando quello stesso riso per produrre una bevanda da offrirgli. Le offerte fatte agli dei variavano di regione in regione, ma il più delle volte si trattava di sakè da riso fermentato, riso lavato e cotto al vapore o tortini di riso cotto e pestato. La tradizione di invitare gli dei, offrire loro sakè e consumarlo perdura ancora oggi in queste cerimonie religiose.
Serve per celebrare l’inizio di una relazione importante
Fra le varie cerimonie c’è la san-sa-kudo, nella quale il sakè viene versato in tre tazze di dimensioni diverse e si bevono tre sorsi da ciascuna. Il numero tre è ritenuto fortunato. Questa cerimonia è effettuata quasi sempre mentre si fanno voti agli dei. L’espressione “scambiarsi le tazze del sakè” equivale a “stipulare un contratto” nelle lingue europee, mentre “bere sakè insieme” indica una relazione informale ma di grande forza.

È anche importante come regalo da scambiarsi
Prima di tutto è essenziale come offerta agli dei, come ringraziamento per i giorni di sole e per i benefici goduti. Ma è anche offerto nel caso di lutti o sfortune a indicare compartecipazione, o come ringraziamento per favori ricevuti.
Tutti questi motivi fanno del sakè la bevanda nazionale del Giappone: è fatto con acqua e riso, le due fortune che la natura ha regalato al Paese, viene fermentato con una muffa presente esclusivamente in Giappone, viene consumato sin dall’antichità, ha forti legami con religione, cultura, riti e abitudini dei giapponesi ed è prodotto in tutto il Paese.