Ma cosa distingueva questi nobili guerrieri dagli altri? Innanzitutto il Bushido, il codice etico che fissava regole e comportamenti che i samurai dovevano seguire, soprattutto la fedeltà assoluta verso il padrone, la continua ricerca dell’automiglioramento, il rifiuto del fallimento e la forza di volontà. Questi aspetti venivano spinti all’estremo, fino al suicidio: se un samurai commetteva un grave errore, per recuperare la propria rispettabilità e il proprio onore poteva ricorrere al seppuku (o harakiri, “taglio del ventre”), un suicidio rituale che andava eseguito con un taglio a L con la katana o un pugnale corto. Questo perché il ventre era ritenuto la sede dell’anima: squarciarlo davanti a fidati testimoni equivaleva a dimostrare che la propria fosse pulita.

Tra le armi più utilizzate dai samurai, la più famosa è la katana, ma quando non erano in battaglia i guerrieri portavano con sé una piccola spada chiamata wakizashi; anche l’arco asimmetrico rientrava nell’arsenale di questi nobili militari, talvolta superando per importanza la katana.
L’armatura era ampiamente decorata, soprattutto il casco, che metteva in risalto il guerriero durante la battaglia celebrando le sue doti; ogni casco aveva delle corna, simili a quelle di un cervo, che simboleggiavano la tenacia del samurai e il suo coraggio di fronte al pericolo della morte. Le decorazioni presenti sul resto dell’armatura, invece, simboleggiavano l’appartenenza a un elevato rango sociale. Questa era parecchio costosa, per via dei materiali impiegati (pelle, ferro e acciaio) e dell’elaborato processo di lavorazione, che la rendeva resistente non solo a lame e coltelli, ma anche a lance e frecce.

Le mogli dei samurai ricoprivano un ruolo chiave: venivano scelte a tavolino e dovevano essere di nobili origini o, in caso contrario, potevano essere “acquistate” facendole “adottare” da una famiglia di samurai prima delle nozze. Nel Giappone medievale le donne potevano addirittura essere samurai: educate ai valori del Bushido e alle arti marziali fin da piccole, difendevano le terre del proprio signore quando gli uomini erano in battaglia o badavano ai propri possedimenti.
Contrariamente a quanto si pensa, il fatto che i samurai appartenessero alla classe sociale più elevata non significava che fossero ricchi. Il loro stipendio infatti si limitava a una paga in riso puramente simbolica e per questo, per mantenere il proprio status sociale senza perdere la faccia, i samurai che non erano già ricchi di famiglia si arrangiavano come potevano con lavoretti secondari.

A fronte di una vita di stenti, i samurai avevano però diversi privilegi. Uno di questi era la possibilità di avere un cognome, che la gente comune in Giappone non aveva (e che conquistò solo a fine Ottocento, con il declino del Giappone feudale). Altro privilegio era quello del kirisutegomen, ossia l'”autorizzazione a tagliare e abbandonare”: il samurai poteva cioè passare a fil di spada chiunque ritenesse gli avesse mancato di rispetto, se di rango inferiore.
Tra il XV e XVI secolo la figura del samurai raggiunse la sua massima importanza, in un periodo in cui guerre, battaglie e lotte interne erano molto frequenti; durante la fase finale dell’800, la classe dei samurai venne abolita per essere sostituita da un esercito nazionale.